martedì 31 luglio 2012

Ricordi da Chiang Mai


Chiang Mai, Thailandia

Silenzio dentro le mura: richiami di un upupa vicina, templi nascosti da muretti bianchi si stagliano improvvisamente contro il cielo. Un’anziana, nodosa signora all’angolo della strada: mi guarda, in elemosina chiede solo un sorriso, subito ricambiato.
Statue di elefanti e templi di draghi: immagini troppo belle per lasciarsi catturare da una fotografia.
Perdersi in bicicletta tra le stradine di Chiang Mai: una città di altari o il tempio di una città?
Voci di monaci alle finestre, misurati inchini, parole sussurrate a mani giunte: “Kob Koon Ka”, ripeto.
Una messa in una chiesa thailandese: certi sguardi uguali in ogni angolo del mondo, alcuni gesti cifrari di un linguaggio universale. Silenzio inaspettato, sottolineato dal suono fragile di piccole campanelle,comprare passerotti e tartarughe in un tempio, per accompagnarli al fiume con una preghiera.
E poi foreste e montagne a perdita d’occhio: il disco del sole che colora d’oro assonnati dragoni, mentre la luce del cielo sfuma via lontana, in un cangiante arcobaleno spezzato dal nitido arancione di un monaco buddhista, che passa, sorridendo..



domenica 29 luglio 2012

Bangkok...





Ore cinque e quaranta: non riesco a dormire.
Ne approfitto per un giro a Talad Noi, mercato rionale di Chinatown: tra pesce fresco, inquietanti alimenti sotto sale, papaya e fette di angurie, sdentate vecchiette mi danno il buon giorno. Per 15 bath (meno di 40 centesimi) faccio il primo acquisto della giornata: due eccellenti panini prosciutto, insalata e granchio: oggi anch’io avrò il mio lunch box!;)
Un battello sul fiume e alle sette sono già al Wat Arun: profumo di gelsomino e suono di campane, in questo tempio sacro ancora deserto… Mi lascio sfuggire un “Oh, My God” fissando il prang che si innalza al cielo: una spirale da 79 metri, ceramiche colorate nella tranquilla serenità di draghi e spiriti custodi.
Alle otto mi avvio verso il Palazzo Reale: orde di turisti all’orizzonte, ombrelli alla mano, bottiglie d’acqua nello zaino, i visi imperlati di sudore; fa già caldissimo in questa umida giornata estiva. Una fetta di cocomero e un caffè freddo e sono pronta per il Buddha “di smeraldo”, ricordo di vita alla ricerca del distacco dal mondo, dalle passioni, dall’attaccamento alle cose…
Qual è la via verso la salvezza? Alla ricerca del proprio nirvana o di un’esistenza come Bodhisattva, ad un passo dal nirvana ma che vi rinuncia per aiutare gli altri a raggiungerlo[1]?
Godere del proprio tesoro o abbandonarlo per condividere la propria scoperta con gli altri?
Tornare indietro dopo aver scoperto la luce che illumina la caverna?
…Fuori del palazzo reale un mercato di amuleti sembra suggerire che la risposta non sarà semplice…


[1] Differenza tra il buddhismo thailandese, cambogiano e laotiano e quello vietnamita…


sabato 28 luglio 2012

ยินดีต้อนรับ Bangkok


                                    Bangkok, 26 luglio 2012



“Can I help you? Are you studying your guide book? I always did the same at your age”.
Mi accoglie così la Thailandia, nel sorriso autentico di una giovane donna di Bangkok, anche lei viaggiatrice dall’altra parte del globo.

Un taxi rosa shocking dall’aeroporto verso il centro : viaggio su sedili foderati con la faccia di Hello kitty, tra centri commerciali, Mac Donald’s e sopraelevate. Poi minibus fino a Chinatown: qui niente vetrine scintillanti, né aria condizionata, né ragazze firmate Lonchamp: lontano da Siam Square, centro dello shopping e della “Bangkok bene”, è tutta un’altra musica. Si cammina tra tempi e archi cinesi, zizagando tra statue di Buddha sorridenti, sdraiati e di fianco, commercianti d’oro e mercati di pesce, Thai massage e rainbow ice-cream, venditori di thè verde e di succhi di melograno.
Per le strade taxi, autobus colorati e tuc tuc (versione asiatica dell’“ape cross” nostrana), bancarelle di imprecisati alimenti sotto sale e ambulanti con spinosi frutti pseudo tropicali.
E un grassoccio porcellino di autentico finto oro che augura sorridendo buona fortuna.
In lontananza le luci di mille grattacieli si accendono, a intermittenza: città viva che non dorme, Bangkok sfida un cielo grigio carico di pioggia: il monsone cinese sta arrivando…

martedì 24 luglio 2012

Verso una baia di draghi e un paese di lanterne


Vietnam, Baia di Halong [1]
             

                                                                             

Ebbene sì, si riparte.
Mesi fa, in un pomeriggio di inizio primavera, camminando per un parco un’amica mi domandò dove avrei voluto passare l’estate, quale angolo di mondo volessi come prossima meta.
Ci ritrovammo entrambe a fantasticare di eterei templi d’oriente, a viaggiare con la mente su barche di legno dorato al tramonto, catturate dell’incenso di mille preghiere lontane….
Così nasce questo viaggio: un po’ per caso, un po’ per destino, tanto per determinazione.

Domani si parte: destinazione Bangkok.
Da lì, rotta verso il Nord, alla volta di Chiang Mai e Chiang Rai, avvicinandosi al “Triangolo d’oro”, sognando la Birmania da lontano. Poi in barca, oltre il confine con il Laos: navigazione sul Mekong, fino a Luang Prabang, città da favola, incastonata tra templi, case di legno e montagne, che al Buddha strappò un sorriso. Accantonata l’ipotesi di un viaggio in bus da 24 ore, volo verso il Vietnam: 5 agosto atterraggio a Hanoi.
Là è il sogno di una baia mozzafiato dove una famiglia di draghi difese il paese da un invasione straniera: gettarono gioielli nel mare, che si trasformarono nelle decine di isole che resero Ha Long una fortezza inespugnabile, tesoro di ineguagliabile bellezza. Gita tra le isole, forse su una barca di legno dalle vele colorate: sarà difficile andar via.
Ma la curiosità di vedere Hue, capitale d’altri tempi, e Hoi An, piccolo porto di ponti e di lanterne, mi farà ripartire…Fino a Saigon (che ormai si chiama Ho Chi Minh city, ma che col vecchio nome ha tutto un altro fascino). Da lì comincia un altro viaggio, un’altra tappa del viaggio, con due amici, verso il delta del Mekong, fino in Cambogia.
Sarò sola fino a Saigon? Beh, sì, anche se credo che soli non si sia mai…Continuo a riconoscere in tanti piccoli grandi incontri il segno di angeli compagni di strada...





                                             

venerdì 20 luglio 2012

Viaggiare




“Benvenuti, prendete posto: di spazio ce n’è, se saprete adattarvi”.

Questo ho sempre pensato sussurrasse il mondo.
Preparato il bagaglio, tracciato l’itinerario, in mano una mappa legata al caso: si parte.
Forse faremo amicizia con suonatori di liuto, rincorreremo disegnatori di prati, seguiremo organizzatori di feste in castelli dimenticati, faremo conoscenza di vecchi massaggiatori indiani, scopriremo le carte scrutando nel nostro passato, saremo ammaliati da distanti fuochi su una spiaggia, guarderemo il sole che sorge in un lontano frammento di mondo, lasciandoci portare da un turbinio di racconti, in balia di mille pensieri incantatori…

Di “una furiosa e forse indecente sete di vivere” parlava Ivàn Karamazov.
A metà tra due mondi, il viaggiatore cerca il suo posto: uscito dal suo universo, insegue il cifrario di comprensione di un altro, attraversando il limbo scivoloso del non conosciuto: viaggia nella terra promessa per portarne le cronache a chi resta nel paese natale.
Uomo sul confine schiavo del suo binocolo, osserva di lontano…
Ma non riesce a restare a guardare: le sue forze lo spingono oltre, il suo sguardo si allarga, abbraccia l’orizzonte. Miraggi di terre sconosciute, voci di linguaggi ignoti, mondi invisibili di fronte ai suoi occhi: la realtà dell’oltreconfine si scontra con la soglia della quotidianità.
Alla ricerca dell’essenziale, si veste di uno sguardo di farfalla, impegnandosi a volare in alto. Coraggioso artefice di se stesso, crede di poter catturare i sogni.

Quando avevo diciassette anni ho comprato un quadro: monaci buddisti a piedi nudi, in cammino.
Da allora è diventato la mia metafora di vita.




mercoledì 18 luglio 2012

A spasso per le vie di Trastevere


                  Roma, vista dal Giardino degli Aranci


Roma, stazione Trastevere.
Scesa dal treno, abbandona i buoni propositi di arrivare presto al lavoro e si concede una passeggiata in quella parte della città che le ha rubato un pezzetto di cuore.
Elena ha trent’anni, vive in un paesino sulle colline laziali, fa la designer e adora Roma.
Nel ricamo di quattro vie trova il suo regno delle meraviglie, il posto dove le piace tornare, il suo giardino segreto: Via della Luce, via del Moro e la Piazza in…Come si chiama quella piazza?
Non se lo ricorda mai, Elena. Le basta, per arrivarci, seguire una strada che da viale Trastevere si spinge in direzione dell’Aventino…Più o meno…
Elena é sempre stata pessima in geografia. Ha una memoria tutta sua: fa fatica ad associare nomi e cognomi, ma si ricorda perfettamente piccoli particolari insignificanti, solitamente ridicoli.
Ha un laser ad infrarossi per le pasticcerie, adora la Nutella e non potrebbe vivere senza la pizza.

“Ah, eccole qua!” nello spazio di centro metri si salutano a vicenda (o meglio, in cagnesco) la sua cioccolateria di fiducia e il suo forno prediletto. Un pezzo di pizza margherita, alta come una focaccia, con tanta, tanta mozzarella, e una fetta di crostata ricotta e cioccolato.
Una passeggiata digestiva dall’altro parte della strada ed, ecco, al numero 37, la sua cioccolateria preferita, un negozietto angusto dove il tempo sembrava essersi fermato[1].
Alla cassa sempre la stessa signora ottantenne, abile stratega, esperta di marketing, Romana doc: da più di cinquant’anni accoglie i turisti con fare burbero e una punta di ironia, alternando battute sul tempo con lamentele sulla crisi morale dell’Italia, invitando gli avventori ad addolcire la triste realtà con una benefica, virtuosa, antiossidante barretta di cioccolato.
Riconfortata da tale panacea zuccherina, Elena conclude la sua passeggiata sul lungotevere, di fronte allo scorcio visionario di una città invisibile aldilà di un fiume: l’isola Tiberina, via del Portico d’Ottavia, Piazza Mattei, Largo di Torre Argentina, Piazza Navona, Via dei Coronari…
Senza parole, di fronte ad un mondo sempre nuovo e mai cambiato.
Davanti a tali meraviglie Elena si ritrova sempre a sorridere tra sé, camminando lieta verso il suo ufficio…


[1] Pasticceria Valzani, Via del Moro n.37, Roma.


lunedì 16 luglio 2012

To do list per i giorni a venire


            Roma, zona Fontana di Trevi



“Prima di voler cambiare il mondo, comincia col migliorare te stesso”

Cielo azzurro, sole, nuotate a bordo pensieri…
Amare…Senza aspettative. Si può?
Relazioni internazionali e conflitti familiari, accettare i grigi prendendo coscienza che il bianco e il nero sono beni di lusso, imparare a lavorare su se stessi prima di voler cambiare gli altri.

Ho redatto una “to do list” per i giorni a venire:
1 Parlare dei propri angoli bui, e lasciar depositare i ricordi.
2 Levigare il dolore, accettarlo, dimenticare i rancori.
3 Darsi pace, riuscire a trovare la propria pace.
4 Ammettere di aver bisogno di una mano, o di un abbraccio, qualche volta.
5 Interiorizzare una frase di Amos Oz: “Quando non hai più lacrime per piangere, non piangere: ridi[1]”.
6 Accettare i propri limiti, e imparare a conviverci: fare i conti con il mio egoismo, le mie invidie, la mia gelosia.
7 Riempire i vuoti e riconoscere i pieni. Colmare la bottiglia: oltre misura, per poterne donare.
8 Prendere in mano la vita, procurarsi una bussola, e mettersi in cammino.
9 Imparare a distinguere gli angeli custodi, e ringraziarli perché aspettano lungo la strada.
10 Rileggere “L’arte di Amare” di Erich Fromm.

Alla fine ho aggiunto un “nota bene” alla mia lista:
“Ricordarsi che è estate, che c’è un sole stupendo e che basta davvero poco per essere felici….”


[1] Amos Oz “Una storia d’amore e di tenebra”,pg 105

venerdì 13 luglio 2012

Divagazioni sulle piazze di Napoli...E le loro meraviglie


                                        Napoli, 2012


Di giorno è quasi anonima: rischia di passare inosservata, per meglio sbirciarci dalle finestre socchiuse dei suoi palazzi malandati, che sogghignano dall’alto agli affaticati turisti, tra la puntata di una telenovela ed l’ultima edizione di un tg. Nascosta tra le opere di santi e artisti, come si chiama davvero questa piazza non so: si accontenta dell’appellativo di “Largo”, prendendo il prestito il nome dal Kestè[1]. La sua anima si perde (o si ritrova) tra musica, bancarelle e artisti di strada, che la rendono viva alla luce dei lampioni.

Si passeggia, nella notte, inciampando in un obelisco, perdendosi nel bugnato della Chiesa del Gesù, lasciandosi rischiarare dai riflessi argentei sognanti del Monastero di santa Chiara. Pochi metri più in là la luce brilla nella vetrina di Gay-Odin, storica gelateria napoletana (aperta fino alle 23.45 nel weekend). Cioccolato al rhum, alla scorzetta d’arancia, alle fave di cacao, frutti di bosco e zenzero, yoghurt con albicocche e noci, mandorle tostate e caramello, crema di casa, latte zucchero e cannella, cremino, ricotta e pere…La nostra fontanella di fiducia dopo una cialda da tre gusti, più panna.

Dopo il nostro peccato di gola quotidiano, ci si lascia guidare dalla musica, o si segue il filo di Arianna dei tanti colorati, irriverenti, enigmatici murales seminascosti agli angoli delle strade. Caffè letterari, friggitorie veraci, baretti informali: perdersi tra i vicoli, per arrivare, finalmente, alla meta… La musica di Piazza Bellini ci cullerà per un po’, lasciando spazio prima ai pensieri, poi a confidenze notturne (al buio, si sa, aprire il cuore è più semplice…), infine ci prenderà per mano, sussurrandoci, a bassa voce: “Ora è tardi, torna a casa: i tuoi sogni ti aspettano…”


[1]Kestè, Art Bar,  Largo San Giovanni Maggiore Pignatelli, 4 - Napoli

mercoledì 11 luglio 2012

Storie di uomini


Timori, invidie, resistere al dolore.
Coraggio e incoscienza: accettare le proprie paure e imparare a conviverci.
Seguire passioni o affrontare la propria missione.
Dignità, perseveranza, irreprensibilità.
Perdere la propria vita per renderne immortale il ricordo.
Fuggire o restare: andarsene, per continuare a combattere.

Cambiamenti culturali e gogne mediatiche: contare i propri amici sulle dita di una mano.
Accuse di abbandono, di presunzione, palazzi dei veleni e ristoranti in campo dei fiori.
Pranzi in famiglia, le preoccupazioni fuori: aspettano con gli uomini della scorta.
In palestra alle 630, rinunciare ai propri spazi, accettare una vita difficile.
Dimenticarsi il cinema…Perché due file libere per rischio attentati è davvero troppo.

Uccidere, moralmente e fisicamente, cancellare un mito?
Silenzio assassino, Stato complice, mancanza di strumenti, di volontà, presunte legittimità e insufficienza di prove. Sospetti e mandanti illustri, prime corone ai funerali…
Un rintocco di campana, in questa notte d’estate.
Storie di uomini, racconti di luci ed ombre, specchi di conflitti interiori.

“Gli uomini passano, le idee restano, perché questi orrori non abbiano a ripetersi”.
Conclude Maria Falcone.
La memoria come strumento di difesa per nuove generazioni smarrite: dalla disperazione di una sorella, dall’indignazione di una cittadina vent’anni di missione.

 “Chi, come, perché?”
Ma non è con uno sbaglio che tutto finisce.
“Lei ha ancora fiducia nelle istituzioni?” Le domandano.
“Se non ce l’avessi ora starei a casa: la democrazia è la nostra conquista più importante”.


Maria Falcone a Caffeina, Viterbo, 10 Luglio 2012. Foto Giulia Venanzi
                       
                        

lunedì 9 luglio 2012

Vittima di mafia nome comune di persona: intervista ad Adriana Musella





Pull rosa salmone, collana di perle e pietre dure: sorride.
Minacce e intimidazioni non le fanno paura: Adriana Musella parla di uomini delle istituzioni collusi con la mafia, che distruggono, annientano, cancellano il lavoro pazientemente fatto nelle scuole per seminare germogli di legalità e semi di speranza.
E’ una controrivoluzione difficile da combattere, quella contro chi viene dall’alto.
“Riuscirà mai a cancellare quella macchia grigia dalla sua memoria?”.
Alla tavola rotonda sulla lotta contro la mafia, ha rievocato una vicenda di trent’anni fa.

3 maggio 1983. Via Apollo, Reggio Calabria.
Una autobomba esplode, spargendo nell’area circostante brandelli del corpo dilaniato di un ingegnere salernitano. Una macchia grigia resta sul muro del palazzo di fronte a quello dove vive la giovane Adriana. Tracce del cervello di Gennaro Musella.
Non era un burocrate, né un magistrato, né un politico.
Quell’uomo era suo padre.
Un uomo comune, un professionista che aveva fatto qualcosa che non doveva fare, che aveva denunciato irregolarità e connivenze politiche in una gara d’appalto pilotata dai “Cavalieri dell’Apocalisse” di Catania.

Vittima di mafia: nome comune di persona.
E’ il titolo del libro pubblicato in occasione del trentennale della scomparsa di Gennaro Musella.
“Mai si potrà eliminare quella macchia grigia”, dichiara Adriana Musella.
“Mai potrò toglierla dalla mia memoria, mai potrò cancellare il dolore. Posso, però, dargli un senso con l’impegno, costruendo un’etica della memoria basata sulla formazione e l’informazione”.
Dell’educazione alla legalità attraverso la testimonianza ha fatto la sua missione, impegnandosi in una battaglia di sensibilizzazione nelle scuole.
“Fino a qualche anno fa tanti erano coloro che arrivavano a negare l’esistenza della mafia. Ora il ricordo di quello che è successo a mio padre vive aldilà di me”.
Per i tanti, spesso anonimi, soldati in trincea contro la mafia si è scelto un fiore: una gerbera gialla, simbolo di solarità e rinascita, emblema della speranza e della determinazione di coloro che lottano per non dimenticare, perché si possa diventare, tutti insieme, il cambiamento.

Ps Segnalo domani, a “Caffeina”, festival culturale a Viterbo, l’incontro con Maria Falcone, ore 21, Viterbo, Cortile dell’Abate.





venerdì 6 luglio 2012

Ritornare bambini


                                                                                      Lago di Bolsena



Sono sempre venuta qui, fin da bambina.
Da piccola avevo una paperella (sì, proprio una papera: un germano, per la precisione) che mi beccava perché gelosa delle attenzioni di mia zia.
Arrivavamo con comodo, verso le undici e mezzo: di corsa a fare il bagno, a mollo per due ore. Finché, al quarto “a pranzo!” di mamma, non mi lasciavo convincere con le minacce ad uscire dall’acqua.
Adoravo le giornate al lago: non ho mai amato né l’acqua salata né la folla che si riversa al mare.
Adoravo questo lago, lo adoro ancora: ci torno ogni volta che posso, per tornare in me stessa, ritrovarmi bambina.

Tante cose sono cambiate: altre, pur diverse, restano sempre le stesse.
Niente più ciambella: so nuotare, anche se non mi piace mettere la testa sott’acqua e il mio stile libero è discutibile. Non ho più una papera, ma mi tiene compagnia un cigno, o meglio, una “cigna”: si è affezionata a mia zia, che le dà da mangiare e si prende cura di lei.
Non ho più paura a fare il morto a galla, ma mi ricordo sempre di mio fratello che mi rassicurava, garantendomi che invisibili formiche mi avrebbero sorretta, per non farmi affogare.
Sono sempre io, un po’ cresciuta, ma in fondo in fondo sempre la stessa: sempre un asciugamano colorato, un libro da leggere, un luogo all’ombra dove rifugiarmi dopo i primi dieci minuti di sole.
La testa sempre piena di pensieri, di preoccupazioni, che scorrono via lontano ogni volta che vengo qui, lasciandomi cullare, confortare, rassicurare dal rumore dolce di questo lago, che sussurra pian piano…

martedì 3 luglio 2012

Gita low-cost tra gli scavi di Ercolano e i limoni di Sorrento



                                                                           Ercolano, Italia


Niente guide e tour organizzati: al massimo in tre, la mattina presto.
Abbandonata la cartina all’ingresso, passeggiare, vagare, fermarsi per poi perdersi tra queste case, immaginandosi gli sguardi alle finestre, domandandosi come fosse la vita 2000 anni fa tra questi cardi e questi decumani, seguendo il rumore di passi perduti sul selciato di pietra, cercando voci in altre lingue, inseguendo l’odore del mare lontano.
Pavimenti di triangoli colorati e scale di legno: il ricordo di una colata di fango, immortale fotografia. Sgargianti colori ormai sbiaditi contro l’armonica linearità dei bianchi a noi noti: passionali o eleganti, inafferrabili, inconoscibili...Uomini di allora.
Scovare un grifone, un uccellino, un cervo, tra le pareti di una casa: simboli magici, divinità o semplice curiosità bambina?

Il sole picchia: è già mezzogiorno.
Via verso la stazione, Sorrento è vicina.
Cinquanta minuti con la circumvesuviana, biglietto unico, sei euro e trenta, speciale weekend. Un’ occhiata a chiese e cattedrali, passeggiata tra i vicoli del centro, un po’ traballanti (tra limoncelli e sorbetti alcolici!), svegliarsi con un bagno, nella spiaggia libera sotto la villa comunale.
E’ quasi sera ormai: ora di tornare, riaddormentandosi sui sedili afosi del treno: la movida napoletana ci aspetta…

domenica 1 luglio 2012

Essere Italiani


                                                                                      Ercolano, Italia



“Essere italiani si può solamente all'estero”
Ha scritto un’amica che studia a Chicago.
Forse sì.
O forse no, se davvero ci impegneremo a crederci.

Vacanzetta a Napoli, all'ombra del Maschio Angioino, con un'amica milanese che qui al sud non c'è mai stata: "Te la faccio vedere io Napoli, che mi piace tanto!"
Eh sì, perché a me, Napoli, nonostante tutto, piace davvero.

Mi piace la Napoli delle frittatine, dei babà e degli arancini, mi piace la Napoli della Paulaner a 1 euro, dei taralli a 50 centesimi, dei biglietti per la circumvesuviana con lo sconto week-end. Mi piace la Napoli di Castel Sant Elmo gratuito dopo le 4, dei ragazzi buzzurri ma disponibili, che ti salutano sorridendo, con un "arrivederci" perché sei tu (del "Nord" sottinteso). Mi piace la Napoli dei capannelli di gente per le piazze, degli ostelli colorati in riva al mare, della musica etnica e del sole d'estate.
Mi piace la Napoli di Capodimonte, di un Caravaggio che toglie il fiato ai pochi che lo sanno scovare, delle Cappelle aperte una volta a settimana, dei gioielli vicini di Ercolano, Capri e Pompei.
Mi piace meno, sì, la Napoli dei pochi scontrini (ma stiamo migliorando), della sporcizia per le strade (ma che dire di Roma aldilà del Colosseo???), degli automobilisti che non conoscono regole e non temono i pedoni.
Mi piace meno questa Napoli, ma mi piace comunque, perché mi ricorda la metafora italiana, di noi italiani, specialmente di noi giovani italiani, italiani a metà.
Che ci ricordiamo di quanto è bella l'Italia quando in Italia non ci siamo più, quando viaggiamo per il mondo rimpiangendo il sole e la pizza di casa, che ci appassioniamo alle partite solo quando le ascoltiamo in un'altra lingua.
Cambierà tutto questo?
Migliorerà? Miglioreremo?
Chi lo sa...
Intanto proviamo a farci le ossa, ad imparare, dovunque ce ne diano i mezzi, fosse pure in capo al mondo.
Con la speranza (o la volontà ferma) di tornare, un giorno...
Sperando che all'alba di quel giorno non sarà solo una partita di calcio a farci ricordare quanto è bella l'Italia....