sabato 29 settembre 2012

Occhiali viola


“Bentornata…Se mai sei partita”
Mi ha detto un caro amico.
Ho fatto un viaggio a Torino in questi giorni, e ho ripensato all’ultima volta che sono venuta qui, meno di due anni fa: ho pensato a quella che ero a quanto sono cambiata, a quella che sono e a quella che vorrei diventare.

E mi sono detta “Nat, in fondo in fondo comunque vada sarai sempre tu”.
Solo che ora quando mi guardo allo specchio, arrabbiandomi per i troppi peccati di gola (che un pochino si vedono!;), ho imparato a sorridere.
Sempre.

Ho comprato un paio di occhiali grandi, viola, spiritosi.
Li ho comprati per rallegrarmi nelle lunghe serate d’inverno davanti al computer.
E perché mi hanno ricordato una frase, che mi disse una bimba in un orfanatrofio in Bolivia: “Solo tiene que ponerte lentillas rosas porque la vida sea hermosa”1.
Col tempo ho imparato a far tesoro di quel consiglio innocente: ho cercato di guardare tutto con occhi di bambina, con occhi felici, accogliendo i successi e ridimensionando le sconfitte, provando a scovarci delle possibilità…Anche se certe volte è tutt’altro che facile.
Si stanno aprendo nuovi cammini per il mio futuro, e spesso mi ritrovo a chiedermi: “Dove finirò? Che persona diventerò? Riuscirò a tener fede alle mie convinzioni e a non abbandonare i miei sogni?”.
Comunque vada, spero di continuare a credere nelle stelle cadenti, guardandole sorridendo attraverso i miei occhiali viola…


1 “Perché la vita sia bella devi solo indossare lenti rosa”

mercoledì 26 settembre 2012

Quel che resta...


                                                                                                       Cambogia
                                                    

Cosa mi resterà di questa vacanza?
In India ho lasciato il cuore, o meglio, il mio cuore di allora.
Il viaggio nel Sud Est asiatico, invece, è stata un’esperienza “conclusa”, dalla quale sono stata felice di tornare, e che mi ha fatto bene condividere con due amici.
“Non devo più preoccuparmi di controllare passaporto, carte di credito e computer”, mi sono detta mettendo piede in Italia. E per riguardare le immagini della prigione dei Kmer Rossi avrò bisogno di tempo.
Ho sentito la complessità di questo viaggio, del toccare una superficie scivolosa, dell’addentrarsi nel limbo di una storia troppo recente perché si possa arrivare a verità. Nei killing fields vicino Phnom Penh ho avvertito il magone, la rabbia, la voglia di girarmi da un’altra parte. Ho visto e  ascoltato senza una parola, sotto la pioggia, senza una lacrima. Uscita fuori l’autista del tuc tuc mi ha offerto una birra: ha detto che ne avevo bisogno.
Non bevo mai birra: quel giorno ho finito una Angkor Beer in due minuti.
Ho sentito le contraddizioni taglienti delle colline verdissime del Laos, chiedendomi se fossi finita nell’isola che non c’è. Poi ho aperto gli occhi e ho letto gli articoli su Vang Vieng, paradiso del divertimento nel nord del paese, dove ventenni occidentali dimenticano la via di casa perdendosi tra droghe a basso prezzo e discese ubriache sulle rapide di un fiume.
Mi sono lasciata ammaliare dalle lanterne di Hoi An, dal ponte cinese, dalla magia delle piccole stradine strette, ma ho storto il naso di fronte alle decine di pizzerie e gelaterie che soddisfano i turisti (me compresa, devo ammettere) rompendo la magia. Sono rimasta delusa da Hanoi e ancor più da Ho Chi Minh City: mi aspettavo il fascino di Saigon, basse case di legno e mercati colorati: ho trovato grattacieli, motorini, centri commerciali e smog.
Ho trovato il presente di una società che cambia. Come tutti noi, come tutto il nostro mondo.
E che come noi non ha poi tanta voglia di restare ancorata al passato, tranne quando non riesce a trasformarlo in una calamita per turisti.

Ho riletto una frase di Sepúlveda ieri sera.
E stavolta l’ho capita davvero.
 “Camino y hablo. Camino por París y hablo con mis amigos de Madrid, sentado en mi cuarto hamburgueño. Hay que renunciar a los territorios físicos y habitar el territorio de la imaginación.”

                                                                                     Luis Sepúlveda, Desencuentros


sabato 22 settembre 2012

Sulla via del ritorno



Si torna a casa, volge al termine questo viaggio, eppure continua dentro di me.
“Di cosa si ha bisogno per essere felici?”
In queste settimane ho fatto una patto con me stessa: per ogni cosa aggiunta al mio bagaglio ne avrei lasciata un’altra. Così ho scoperto che sono davvero poche le cose di cui ho bisogno, e che tornando all’essenziale posso andare lontano.
Negli ultimi giorni ho perso due cose importanti, che ritenevo importanti.
Ed ho capito che la vita continua anche se dimentichi il cellulare in un autobus, e che i ricordi restano anche se perdi il diario di viaggio. Ce ne andiamo noi, seguendo il filo del destino da un capo all’altro del mondo, ricorrendo sogni, seguendo o sfuggendo domande.
Ma i ricordi no, loro restano, talvolta addormentati, spesso nascosti, soggiogati da un tran tran confortevole.
Torneranno, un giorno. Un incontro sul treno disegnerà il volto di una persona ormai lontana, un profumo di gelsomino richiamerà alla mente fiori che scorrono in una notte d’estate. E risuonerà ancora un discorso fatto al vento, ritorneranno quelle eterne domande sul futuro, sul destino, sulla possibilità di scelta.
Forse non ci sarà il Mekong ad ascoltare, questa volta.
E probabilmente le risposte non saranno le stesse.
Noi, di sicuro, saremo cambiati, persi in un’altra parte di mondo, con pezzetti di cuore lasciati qua e là…







mercoledì 19 settembre 2012

Goodbye Bangkok

                  Bangkok, Mercato degli amuleti

“What’s Bangkok for you?”
Domando a Ling, la mia amica thailandese, mentre le descrivo il mio stupore di fronte agli arroganti centri commerciali di Siam Square che svettano superbi a fianco di silenziosi tempi dorati, osservando sdegnosi le basse case di legno aldilà del fiume.
 “Bangkok è proprio questo per me: il Siam Paragon e il Wat Arun, il BTS e gli Skybar, ma anche il mercato di Damnoen Saduak e le stradine di Banglanphu. E’un po’ di tutto: il lusso dei centri commerciali e il silenzio dei templi, la maestosità dei grattacieli e il fascino dei canali. Ma soprattutto, per me Bangkok significa serate con gli amici, cibo fantastico, massaggi e divertimento”.
Sorrido tra me e me, pensando alla mia Roma, e a cosa sia per i turisti, se anche loro si sentano piccoli piccoli di fronte al Colosseo e restino stregati dalle stradine di Trastevere, innamorandosi di vecchi pizzerie e negozi di libri usati, zigzagando tra macchine in terza fila, motorini e biciclette.

Oggi, ultimo giorno in Indocina, mi do anch’io ad uno degli hobby preferiti dei thailandesi: mangiare. Mi lancio così in un tour gastronomico nella food hall del Siam Paragon, tra mochi giapponesi, crispy noodles, mango sticky rice, dolcetti al taro e biscotti al grey bean. Una visita ad una vecchia casa tradizionale thailandese, un giro sui canali, gli ultimi regali al mercato degli amuleti e per finire un cocktail al sessantatreesimo piano di uno skybar.
Goodbye Bangkok: I ll be back one day.




sabato 15 settembre 2012

Un'altra chance


                                                            Bangkok, Democracy Monument



Sta piovendo: la solita mezz’ora depurativa quotidiana. Le luci dorate del Wat Po viste da un motorino che corre veloce, belle da far dimenticare l’afa, la pioggia, il traffico della giornata.

31 Agosto: Bangkok un mese dopo.
Taxi, mototaxi, autobus, tuc-tuc, speedboat, slowboat, metropolitana e biciclette, canali, mercati dei fiori, bancarelle, shopping malls e grattacieli. L’ho lasciata umida, incasinata, sporca e disordinata, shakerata in un cocktail di spostamenti elettrizzanti. L’ho salutata sgranocchiando salatini di pollo, osservandola perplessa dalla cima di una stupa buddista.
Ci sono tornata per dirle arrivederci…E darle un’altra chance.
Così ho scoperto che non è tutto oro il quartiere di Rattanakosin, che l’altra faccia dei templi sono locali a luci rosse, rooftop bar e alberghi a cinque stelle, che la mecca del cibo non è a Chinatown ma nelle food court dei centri commerciali di Siam Square.
L’ho trovata cambiata, vestita a festa con abiti Marc Jacobs e borse Prada, pulita e ordinata nei freddi vagoni della metropolitana. L’ho guardata agghindarsi di luce e specchiarsi vezzosa nei laghi di Silom, rallegrandosi per il perfetto gioco di specchi dei suoi scintillanti grattacieli armonici.
Centri commerciali a braccetto con templi, tetti spioventi decorati d’oro.
In basso il fiume, a cullare sussurrando lenti ferry boat.
Comincio a desiderare un libretto di istruzioni per questa città…

mercoledì 12 settembre 2012

Fuggire su un'isola





E adesso basta fare i turisti: vogliamo l’avventura!
La vacanza agli sgoccioli, Sofia a Niccolò si lanciano in approfondite valutazioni per la scelta della prossima meta: Ko Chang, Ko Rung o Ko Krong[1]?
Si discute tra paura degli insetti (particolarmente molesti in una delle isole), previsioni meteorologiche (“ci sarà un angolo di terra privo di pioggia nei prossimi giorni?”) e timore dell’accoppiata “resort+ lounge bar + discoteca”. Così alla fine partiamo per l’isola dei Conigli “Rabbit’s Island”, piccolo angolo di paradiso nel sud della Cambogia, proteso verso il Vietnam.
Ci arriviamo da Kep, dopo una notte in un bungalow quasi su un albero, un giro tra campi di durian (frutto dall’odore pestilenziale, ormai entrato nella mia black list) e una scorpacciata di granchi e calamari (non per niente Kep è famosa per il suo mercato del pesce)
“Ohi Nataly, hai capito che niente internet, né computer, né corrente sull’isola, vero??”.
Ebbene sì, per un paio di giorni mi toccherà rinunciare al mio inseparabile pc, fido ascoltatore e custode di tutte le mie storie. Vorrà dire che mi accontenterò di guardare le stelle e tornerò a carta e penna… Che poi, alla fin fine, sono una che scrive ancora lettere e pagherei oro per un piccione viaggiatore.
Così mi ritrovo sulla spiaggia, semiaddormentata su un’amaca, a guardare la luna, in un buio luminoso, spezzato solo dalla chiassosa luce di due candele del ristorante, dove una decina di superstiti si raccontano, tra pastis e Angkor Beer. Mi unisco anch’io ai racconti di vita, alle cronache di viaggi e alle perplessità sull’avvenire, finestre aperte da perfetti sconosciuti sulle proprie vite. Domani si torna sulla terraferma: meglio approfittare di questa notte senza elettricità ma piena di sogni…







1] I nomi potrebbero non essere esattamente questi: mi sono sforzata, ma continuo a confondermi tra tutti i “Ko”, “Rong e “Rung”..:)





domenica 9 settembre 2012

Seduti sull’acqua a domandarsi cosa sia la felicità





Notte.
Piedi a bagno nel fiume, distesi in un bungalow a filo d’acqua. Fiori di gelsomino scorrono via con la corrente: siamo a Kampot, deviazione di rotta dopo un deludente giro a Sihanoukville, inseguendo il sogno di un’ isola che non c’è.
Piove, ricordandoci di non fare troppo affidamento sulle aspettative, insegnandoci a prendere la felicità come arriva, rinunciando a spiagge (non) soleggiate, riscoprendo fiumi invece del mare, affezionandoci ad una tranquilla cittadina casualmente finita sul nostro percorso.


Sonnacchiosa mattina sulle poltrone vista fiume, morbide e arancioni, una ninnananna per i nostri occhi stanchi, che facilmente si chiudono al ritmo dei Radiohead: c’è sempre musica al bancone del bar. Abbandonati i piani di visite a cascate, giungle, grotte e città, ci rassegniamo al riposo, così difficile da accettare quando si è curiosi di vedere, scoprire, vagabondare intorno.
“Beh, forse è arrivata l’ora di vagare un po’ dentro me stessa”, mi dico, di mettere a posto non solo gli appunti di viaggio, ma anche i pensieri, le emozioni, le persone che mi hanno incrociata, rassicurata, stupita in queste settimane.
Sperando di riuscire a mettere un po’d’ordine anche in me stessa.
E i pensieri si riordinano, pian piano, si scende a patti con i problemi lasciati a casa, ma che continuano a bussare alla porta, li si affronta meglio chiacchierando tranquilli con amici di sempre e nuovi compagni di viaggio.

...
Finalmente il cielo si schiude, e siam subito pronti per un giro in bicicletta, su strade sterrate e annacquate, tra bambini a cavallo di bufali, monaci cambogiani con libri d’inglese sottobraccio e preti ecuadoreni pronti per una partita a pallone.
E’ già sera: un silenzio confortevole culla parole altrimenti difficili, così semplici da condividere in questo buio…“Sei felice?”.









Ho camminato tanto, in questi giorni, ho visto luoghi incredibili e fatto cose impreviste. Ho nuotato in un fiume scuro, controcorrente, ho seguito motociclisti spericolati in mezzo alla giungla, ho guardato albe a mezz’aria, mi sono addormentata tranquilla al suono della pioggia (per una volta senza tappi), ho discusso di arte e di bellezze naturali e umane, sostenendo convinta il fascino dei monaci buddisti. Ho accettato di perdere il controllo, qualche volta, e sono scesa a patti con me stessa. Ma, soprattutto, ho rinunciato alla mia indipendenza e al mio egocentrismo, per una volta. Ed ho capito che forse non ho sempre voglia di avere in mano la situazione, e che posso accettare di affidarmi agli altri: ho cominciato un’avventura con due grandi amici, ed ho scoperto che la gioia è piena solo se condivisa.
E, sì, ho capito di essere felice.



mercoledì 5 settembre 2012

Coordinate geografiche


                      Amphawa, Thailand


Una  piccola precisazione: per esigenze di tempo e necessità di “revisione dei ricordi”(J) i post sono pubblicati con ritardo: tutti i luoghi descritti li ho visitati uno dopo l’altro, nell’arco di 7 settimane. Arrivata a Bangkok il 25 luglio, sono andata nel Nord della Thailandia, a Chiang Mai e Chiang Rai. Il 2 agosto sono “sbarcata”in Laos, a Luang Prabang, dopo due giorni in barca sul Mekong. Il 5 agosto sono volata in Vietnam: Hanoi, Halong Bay e poi Hoi An, da dove sono ripartita il 13, alla volta di Ho Chi Minh City (Saigon). Lì mi sono incontrata con Sofia e Niccolò e abbiamo continuato insieme il viaggio verso il delta del Mekong, Can Tho e Chau Doc, Il 17 agosto ci siamo spostati in Cambogia (di nuovo in barca sul Mekong) e da lì a Siem Reap, nel Nord, per visitare i templi di Angkor Wat. Poi ci siamo diretti a sud, a Sinakouville, Kampot e Kep, da dove abbiamo preso una barca per un paio di giorni sull’isola dei conigli (tra la Cambogia e il Vietnam). Il 29 agosto le nostre strade si sono divise: Sofia e Niccolò sono ripartiti alla volta di Ho Chi Minh, mentre io sono tornata a Bangkok, dove ho trascorso gli ultimi quattro giorni prima della partenza. Oggi, 5 settembre, dopo più di quaranta ore di viaggio, uno scalo movimentato a Istanbul, stanca, assonnata, ma felice, sono tornata a casa.

Ps Ovviamente, ne ho ancora di cose da raccontare: tra un paio di giorni riprenderemo, dalla Cambogia del Sud, il filo della storia…





domenica 2 settembre 2012

Frammenti di vita ad Angkor Wat

Cambogia, dintorni di Angkor Wat


Sembra non ci sia riposo per i turisti cha visitano Angkor Wat.
Templi grandi come città aspettano in agguato, stuzzicando la curiosità di viaggiatori mordi e fuggi e infaticabili esploratori, condannando ad alzatacce all’alba e a sonnacchiose marce al tramonto, inseguendo il sole in templi sempre più affollati. Scalinate, cupole, statue, altari e laghi, ponti e boschi sacri: decine di pagine di storia, una pesante sensazione di impotenza, il dispiacere di non aver tempo per contemplare degnamente tutto ciò.

Oggi, terzo giorno, ho capito che in questi mesi sono cambiata.
Abbandonata la lista dei Wat, Ta, Preah[1] da visitare, mi sono concessa dieci ore di sonno, ho rinunciato ad un’escursione al fiume delle mille linga e ho fatto colazione con calma, gustandomi un banana pancake al ritmo dei Beatles.
Ho lasciato da parte le cose da sbrigare, ho preso la bici dell’albergo…E sono andata.
Senza tour de force (autoimposti) da rispettare, ho ritrovato la magia di questi luoghi, pedalando tra gli alberi che fiancheggiano la strada da Siem Reap a Angkor Wat. Non più di corsa, ho trovato il tempo per guardare galline e farfalle, scimmie, libellule, turisti giapponesi e famiglie cambogiane, ascoltando sorridendo, la cantilena dei bambini all’ingresso dei templi: “Do you want ten postcards? One, two, three, four…”.
Ho spento il rumore dei pensieri e ho camminato per templi già visti, così diversi se osservati sotto un’altra luce. In punta di piedi, o meglio pedalando senza far rumore, ho raccolto frammenti di giornate altrui, donne accovacciate nelle risaie, ragazzi addormentati sotto un albero, bambini che salutano, gridando “Hello” più forte che possono.
E ho capito che non è correndo che troverò la mia gioia...



[1] Alcuni dei nomi dei templi di Angkor Wat