domenica 28 luglio 2013

Washington, DC

                                                        Washington, Smithsoninan Castle


Città della metro rapida e costosa, degli young professionals e degli happy hours, della competizione accanita e dei bar afroamericani con musica reggae e narghilè. Città della Casa Bianca e dei centri di potere, dei bar gay e dei locali trendy, dei caffè simil bohemien e dei second-hand stores. La Washington di Adams Morgan e della sua musica fino al mattino, del Diner e del Coupe e dei loro tavolini all’aperto, di Perry’s e della sua terrazza sulla città, soffici luci di Natale in un tramonto d’estate. Washington della Howard University e delle sue guglie bianche sul Caribe, delle feste latinoamericane di Mezze, dei BBQ a Georgetown e dei Ladies Nights al Centro de F.
Città di transizione e di scelte di vita, di conoscenze superficiali e indimenticabili compagni di viaggi, di chi balla a notte fonda per strapparti un bacio e di chi riaccompagna a casa in silenzio, ascoltando un arrivederci.

Venerdì di jazz in the garden, due sangrie, uva e formaggio, scampagnata con gli amici per inaugurare il finesettimana. Un giro in libreria per il viaggio a San Francisco, pennichella a casa e a mezzanotte di nuovo fuori, con una polacca, un brasiliano, un russo e un’italiana: racconti stranieri fino alle tre. E ieri la GMG sentita da lontano, in un monastero fuori città, per esserci, almeno con cuore: candele accese in una grotta e tanti, tanti ricordi. Oggi lo zoo con la mia coinquilina, e una passeggiata nel parco, conclusa parlando di libri, chissà perchè…

lunedì 22 luglio 2013

Wish List




“Sempre devi avere in mente Itaca: raggiungerla sia il pensiero costante. 
Soprattutto, non affrettare il viaggio”
-Kostantino Kavafis-


E Marco contemplava la sua città, scorgendola tra le nubi dell’orizzonte distante, sfumata fino a farsi nebbia eppure pesante come un addio. 

Sabato in piscina, aldilà del Potomac, in bicicletta dopo 10 ore di sonno e cinque applications. 
Gli amici di sempre e quelli di qualche settimana, le telefonate via skype e le passeggiate in bicicletta, i pensieri stregati sotto le stelle, in terrazza, mentre la tempesta fugge via a Nord, verso Bethesda.
Un collega mi ha suggerito di scrivere le mie mete, in sei, 12, 24 mesi e in cinque anni.
Mi sono stupita vedendo quanto quello che sto facendo ora sia poco allineato con le mie aspirazioni a lungo termine.
Cosa vorrei ottenere in questi mesi?
Come vedo la mia vita tra un paio d’anni?
Cosa scriverei in questo momento nella mia wish list?
Dei desideri ho sempre avuto paura, in verità, nascondendoli dietro responsabilità e liste della spesa, barattando ciò che voglio con quello che gli altri desiderano per me, apparentemente…
Sto cercando di esercitare la pazienza per il futuro, e di riempirmi di gioia per quello che conta, per i piccoli grandi doni nascosti dietro un invito inaspettato, un biglietto per una partita, una telefonata col cuore
“Whatever happens Tomorrow, pick up today”
Riuscirò  a vincere il mio innato desiderio di avere tutto sotto controllo, godendomi il viaggio verso Itaca senza preoccuparmi troppo della meta?


domenica 14 luglio 2013

Città


E se abbattessimo tutte le barriere, se distruggessimo i palazzi e dimenticassimo le strade, cancellassimo gli oceani e superassimo i fusi orari, che confini avrebbe la mia città? 
Sarebbe fatta di edifici o costruita sulle persone, mossa dalle passioni o inchinata alle necessità?
Sarebbe visibile da lontano o si nasconderebbe agli occhi di chi la cerca, senza mai lasciarsi trovare?
Tutto e niente da offrire, regalerebbe il mondo in un pensiero, abbracciando il dolore in uno sguardo, facendo ridere con una carezza.
Sarebbe una città fatta di giardini, di alberi tranquilli, persi nel silenzio delle sere dell’estate, gli occhi dei suoi abitanti che si chiudono parlando della vita, con una birra in mano. Leggera ma con solide fondamenta, pronta a rinascere altrove, un araba fenice sulla mongolfiera del mondo. Sarebbe fatta di persone la mia città, le accoglierebbe tutte: chi se ne è andato e chi è sempre rimasto, chi è passato in un fugace apparizione e chi non ha mai trovato il coraggio di andar via. I suoi abitanti conoscerebbero a memoria tutte le strade: saprebbero sempre a chi rivolgersi per una chiacchierata in collina, per una partita a scacchi, per una passeggiata post discoteca, nel silenzio dopo il rumore delle feste lontane. Avrebbe tanti ricordi, la mia città, inscritti in solide fondamenta, immutabili come la memoria  ma accoglienti come il coraggio, quando la nuova terra si avvicina.

Senza più valigie, le sue strade come altalene, si potrebbe viaggiare lontano...

Stavolta sì, senza paura. 

lunedì 8 luglio 2013

From the beach

                                                             Kitty Hawk, North Carolina

"E a un certo punto devi scegliere: o resti sulla riva o accetti una mano tesa, ma per afferrarla devi chiudere gli occhi e fidarti".

David vive a Kitty Hawk, e' felice anche se non ha mai visto nulla oltre il North Carolina. Andrea viene dal Peru': arrivata negli Stati Uniti per lavoro, ha trovato il compagno di una vita e non si è più spostata. Qualcun altro e' italiano, ma sui generis, adora il gelato ma non la pasta: la sua parola d' ordine e' partire.

A Virginia a beach il silenzio  dell' oceano vince il freddo delle onde sulla spiaggia, per far posto al ricordo dei delfini, spariti nello spazio di un sorriso.
Frozen yogurt, avocado salad e hamburger, tre camere per sedici, tra ombrelloni, coolers e palloni. Un inno lontano e fuochi d' artificio, celebrando l' indipendenza altrui dietro cappelli stravaganti a stelle e strisce. Ritorno lento, a ritmo di musica colombiana, le universali file in autostrada dopo un weekend lungo di mare. Dal finestrino  l' America dei grattacieli fronte mare,  dei baywatch e delle piscine Hilton sulla spiaggia. L'America dei lunghi viaggi in macchina, a 55 miglia all'ora da non poter superare, l'America dei motel, dei campi sterminati e dei Wendy's a bordo strada.

"O le cavalchi, le onde, o ti lasci sopraffare,  piegandoti senza scelta al fatto che qualcun altro prenda il controllo".
E se non afferri quella mano puoi essere perduto.

lunedì 1 luglio 2013

Lucciole


Lucciole in giardino, e girasoli sul terrazzo, un paio di orecchini ad aspettarmi in stanza, regalo del padrone di casa, dal New Mexico.
Piove spesso a Washington in questi giorni: inizia col sereno e, d’improvviso, ti ritrovi a correre al riparo, incredula, pensando che salteranno i tuoi progetti di una passeggiata in serata. E, of course, ti disperi.
E invece no, invece poi torna il sereno, inaspettatamente.

Ho giocato a fare l’attrice ultimamente, ho accettato critiche (o almeno ci ho provato), ho messo in discussione un paio di pilastri apparentemente intoccabili e alla prova la mia capacità di scendere a compromessi.
Con la dolcezza di un bambino e la forza di un gigante.
Continuando a seguire le mie convinzioni nelle sabbie mobili dei mille punti di vista e nel confuso mix di sfumature della vita. Strade diverse per raggiungere gli stessi obiettivi, provando a non lasciare che sia turbato il proprio cuore.
  
Con la mia casa ormai in nessuno o in tutti i luoghi, o semplicemente, dov è il mio cuore, saltando da una vita all’altra, con la mia mappa  sottobraccio e il mio zaino in spalla.

“Respira, e aspetta, e aspetta ancora. E ascolta il tuo cuore. Quando poi ti parla alzati, e va dove lui ti porta”[1].



[1] Susanna Tamaro “Va dove ti porta il cuore”

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